Riflessioni su identità, responsabilità e coerenza

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Riflessioni su identità, responsabilità e coerenza

Identità, responsabilità e coerenza

Photo by Glen Carrie on Unsplash

Un interessante articolo di Luca Poma, prendendo spunto dalla fatidica domanda del film ‘Non ci resta che piangere’, s’interroga sul tema dell’identità dell’azienda. E utilizzando il termine ‘identità’ non si sta trascendendo la concretezza del business, non si vogliono oltrepassare i confini della materia economica.

«Chi siete? Da dove venite? Cosa portate? Dove andate? Un fiorino!». Una battuta che Poma traduce in una domanda e in una riflessione sulla coerenza. Coerenza tra la strategia di business professata da un’azienda e quella realmente messa in pratica, tra quanto espresso in quella che potremmo chiamare la sua ‘dichiarazione di responsabilità sociale d’impresa’ e l’applicazione concreta di quest’ultima.

Sì, perché ad oggi molte realtà si accontentano di una dichiarazione d’intenti (spesso formalizzata nel  proprio Bilancio di Sostenibilità o Bilancio Integrato), che, nel migliore dei casi, disegna un perimetro d’azione all’interno del quale l’azienda si muove e agisce, ma non in maniera organica e senza gli strumenti per poter effettivamente misurare e quindi verificare la realizzazione di quegli stessi ‘intenti’. Se i valori espressi come fondativi di un’impresa, se la consapevolezza del contesto sociale in cui si opera, non caratterizzano la percezione che management, dipendenti e collaboratori hanno del loro lavoro, allora quei valori e quella consapevolezza non sono ancora attuati.

Per questo l’obiettivo dovrebbe essere quello di innescare il cambiamento virtuoso a ogni livello della macchina aziendale. Un cambiamento che va stimolato e sostenuto affinché si protragga nel tempo, affinché si traduca in comportamenti consolidati. Come? Con il supporto di strumenti che consentano di misurare e quantificare la coerenza di cui stiamo parlando.

Secondo Poma, un ulteriore passo in avanti potrebbe portare alla creazione di un’‘organigramma per stakeholder’, che associ ad ogni funzione aziendale la tipologia di stakeholder con cui ognuna principalmente si rapporta. E aggiunge: “solo così sarà possibile comunicare realmente, all’esterno ma soprattutto all’intero, “l’essenza” di una “stakeholder company”, educando inoltre il capitale umano dell’azienda a mettere al centro della propria attenzione i pubblici d’interesse dell’azienda stessa (senza la piena soddisfazione dei quali non esiste impresa) e non solo i prodotti e i servizi erogati“.

«Chi siete? Da dove venite? Cosa portate? Dove andate?». Rispondere in maniera esaustiva (e concreta) a tali interrogativi non è solo eticamente corretto, ma è anche economicamente vantaggioso, perché significa riuscire a costruire un’identità aziendale. Un’identità che, internamente, consenta a ogni singola risorsa di trovare ragione del proprio ruolo e lavoro non esclusivamente nel ‘risultato’. Un’identità che, esternamente, faccia ri-conoscere l’impresa, la quale agisce (quindi fa profitto) in coerenza non con una ‘narrazione’ (termine alquanto abusato) ma con una quantificabile messa in pratica di comportamenti e azioni.

Consigliamo la lettura dell’articolo che ci ha suggerito queste riflessioni: La Csr nel Dna della stakeholder company.