In questo strano anno pandemico, l’estate è arrivata in fretta, forse anche a causa di due mesi – più o meno – di confinamento. Per molti giorni abbiamo rispettato l’obbligo di restare entro i confini stabiliti, che fossero quelli del comune, della provincia, della regione.
Oggi, pur con le dovute cautele, i confini nazionali non sono più invalicabili, eppure, come forse era prevedibile, l’estate 2020 si sta rivelando molto italiana.
Sentiamo ripetere spesso che stiamo riscoprendo o scoprendo il nostro territorio, così ricco di luoghi e suggestioni, di paesaggi e possibilità, di arte e natura, di persone. Dispiace un po’ che questa scelta sia stata influenzata da quanto accaduto: malattia, paura, poca disponibilità economica… Però, questo momento potrebbe aiutarci a comprendere che esplorare ciò che abbiamo appena oltre la porta di casa è un’opportunità e non un ripiego.
Un’opportunità che ben si presta a un tipo di turismo responsabile e sostenibile.
Fino a qualche anno fa, i concetti di responsabilità e sostenibilità erano meno interdipendenti, servivano a identificare due sfere di senso precise e differenti. La responsabilità riguardava aspetti del viaggio quali: l’incontro con i luoghi e le persone; il rispetto con cui approcciare un territorio, le sue tradizioni e la sua cultura; l’importanza di contribuire, nei limiti della propria disponibilità, all’economia locale. La sostenibilità era invece principalmente ambientale e riguardava i comportamenti e l’impatto ecologico del viaggio e del viaggiatore.
Oggi la sostenibilità del turismo cui si fa riferimento è ambientale, sociale ed economica. Ed è una responsabilità.
Il viaggiatore è un ospite.
Ospite dei luoghi, delle persone, delle comunità e della natura. Il rispetto e il buon senso dovrebbero sempre fare da guida, così come la voglia di informarsi, imparare e di fare incontri.
Città, paesi e regioni che visiteremo e vivremo durante le vacanze, non solo ne trarranno un vantaggio economico, ma saranno anche più incentivati a prendersi cura del proprio patrimonio – storico, culturale, naturale – e a migliorare sotto il profilo dell’accoglienza turistica.
È probabile che, restando nel Bel Paese, utilizzeremo meno gli aerei e ci sposteremo di più con l’auto, con camper e caravan. Qualcuno sceglierà il treno e altri mezzi del trasporto pubblico locale. Di certo non mancheranno persone che si dedicheranno ai lunghi cammini con zaino in spalla.
Photo by Alex Vasey on Unsplash
Se un camper non può scaricare ovunque le proprie acque grigie e nere, così è bene ricordare che in montagna è meglio riportare a valle i propri rifiuti, anche se si fa tappa a un rifugio.
Acquistare prodotti locali – e magari artigianali – ha un grande valore, non solo economico, ma anche culturale e sociale. Dunque, serve un piccolo sforzo per raccogliere informazioni e capire meglio che cosa stiamo acquistando.
Incontrare davvero gli altri implica saper ascoltare, lasciare spazio alla diversità e considerare le differenze come un’occasione di arricchimento reciproco. A questo scopo, sono molto utili forme di ospitalità quali gli ostelli e il campeggio, ma anche il wwoofing – lavoro a supporto di progetti rurali naturali, uno scambio non di denaro ma di conoscenza, cultura ed esperienza.
E la scelta del ristorante? Non esistono solo le stelline che danno un voto alla bontà del cibo e alla bravura dello chef, ma anche quelle che valutano la scelta delle materie prime – a km 0, a filiera corta, etc. – e quelle che premiano, per esempio, un progetto di inserimento al lavoro di persone svantaggiate.
Rispetto, responsabilità, buon senso, curiosità… ma uno di quegli ingredienti che cambia il sapore del viaggio è la lentezza.
Al di là del mezzo di trasporto usato, della meta, dei gusti personali e delle attività che si sceglie di fare, il viaggio comincia abbandonando la fretta. Fretta di fare, vedere e pensare.
Rallentando il ritmo comincia l’esplorazione vera, entra in gioco il caso, ci si può perdere e sbagliare strada, capita di dover cambiare programma… E cosa succede? Ci si accorge che tutto sembra più intenso, avventuroso, denso di emozioni.
In questo senso, la lentezza è anche libertà dalla fretta mentale, dalla quotidianità, dalle ansie e dalle ‘solite abitudini’, ed è così che il viaggiatore smette di divorare e comincia a degustare. Il viaggio lento è dunque sostenibile e rispettoso perché luoghi, persone ed esperienze vengono vissuti e non semplicemente consumati.
Ci sono tanti modi per viaggiare con lentezza, ma a fare la differenza saranno sempre lo spirito con cui si parte e la voglia di lasciarsi sorprendere.
Stabilita la meta e valutato il tempo a disposizione, il passaggio successivo sarà la scelta del mezzo di trasporto. Decidendo di muoversi a piedi, in sella a una bicicletta o, ancora, a bordo di un veicolo storico, come una vespa o un’auto d’epoca, ogni volta le sfumature del nostro peregrinare vireranno in modo diverso, ma resteranno sempre nella gamma dei colori lenti. Ulteriore garanzia di lentezza e imprevisti sono le strade secondarie, che, con un pizzico di follia, si può decidere a priori di preferire sempre e comunque all’autostrada e ad altre strade di grande percorrenza. Infine, come gestire la navigazione? La tecnologia spesso ci rende troppo passivi e, in molti casi, riduce o addirittura azzera la probabilità di errore. Navigare a vista è possibile, ma forse è meglio portare con sé delle cartine o un atlante stradale – magari quelli che usavano i nostri genitori vent’anni fa! Il tramonto, la cartina distesa e un bicchier di vino potrebbero trasformarsi in un piccolo rito serale, un momento per immaginare – non per stabilire o calcolare – il percorso del giorno successivo.
Photo by Luca Micheli on Unsplash
Un bel modo per comprendere questa tridimensionalità del viaggio è lasciarsi ispirare da altri esploratori, dalle loro narrazioni.
Paolo Rumiz, nel suo libro “La leggenda dei monti naviganti”, racconta di una navigazione ad alta quota, lungo tutta la dorsale appenninica, affrontata a bordo di una Topolino del 1953.
Infilata la chiave nella “toppa dell’accensione, la Calabria diventa lontana come la Patagonia”. “Un’auto simpatica” prosegue l’autore “priva di arroganza, capace di risvegliare ricordi, curiosità e nostalgie; perfetta per propiziare incontri. Un mezzo lento, ideale per provocare gli italiani divorati dalla fretta”. E dopo la scelta del mezzo, ecco stabilite le regole: “Niente città. Niente pianure. Niente guide rosse, verdi o blu ai monumenti. Niente ristoranti o alberghi a tre stelle. Soprattutto, niente rettilinei. Non c’è nessun mistero in fondo a un rettilineo. Il rettilineo non accorcia un bel niente: ti mangia la vita, è un interminabile nulla, una condanna, come la galera. La nostra invece è una storia di paracarri e tornanti. Un viaggio fatto di curve, nella pancia del paese. Migliaia di curve. A falcata lunga o di culo basso, spigolose o rotonde, non importa. Un viaggio di uomini e incontri. Una pista cheyenne incollata alla spina dorsale del paese. E allora sì che non esiste auto migliore di questa. La più simile al mulo che trovi sul mercato”.
Rumiz riesce a raccontare tutto del viaggio, trova le parole giuste per dare corpo e voce a un modo di essere, l’essere viaggiante.
In conclusione: viaggiamo responsabilmente, con lentezza e ispirati!
I libri di Paolo Rumiz potrebbero diventare la carta geografica e la guida per un viaggio ispirato. Non qualcosa da replicare pedissequamente, bensì una nuova avventura da costruire.
E non servono per forza libri ‘a tema’. Ci sono romanzi che ci prendono per mano e ci fanno conoscere pezzetti d’Italia poco noti oppure noti ma mai esplorati.
Pensiamo al “Salto dell’acciuga” di Nico Orengo, in cui l’autore, grande cantore di terre liguri, sconfina in Piemonte, lungo la via del sale.
Pensiamo a libri come “La chimera” e “Marco e Mattio” di Sebastiano Vassalli, che, seppur ambientati in epoche ormai lontane, raccontano di territori, quello di Novara e della valle di Zoldo, dove perdersi inseguendo le tracce di Antonia, la strega di Zardino, e di Mattio Lovat e Don Marco.
E poi la Torino di Fruttero & Lucentini, la Milano di Giorgio Scerbanenco, la Sicilia di Leonardo Sascia. A ognuno il suo Virgilio!
Non ci resta che augurare a tutti che sia un’estate lenta, ispirata e sostenibile. Buon viaggio!
Photo by Cristina Gottardi on Unsplash
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